La Rule of forgetting

Una delle caratteristiche più interessanti delle attività ludiche in una classe di lingua è l’attivazione della cosiddetta Rule of Forgetting, secondo la quale una persona acquisisce meglio una lingua quando si dimentica che la sta imparando. Infatti lo studente mentre gioca concentra la sua attenzione proprio su questo, usando la lingua come mezzo per raggiungere i suoi scopi e per portarlo a termine. Questo suo concentrarsi sull’aspetto operativo dell’attività ludica lo distrae dai contenuti linguistici del compito e gli fa dimenticare che sta imparando la lingua. In questo modo si abbassano i livelli di ansia dello studente, ovvero si abbassa il filtro affettivo, e di conseguenza si creano le condizioni favorevoli per un’acquisizione duratura e non solo di un apprendimento momentaneo.

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L’insegnante che sceglie di fare della glottodidattica ludica una metodologia di riferimento opera in sintonia con i principi di diversi approcci glottodidattici che analizzano i processi di apprendimento-insegnamento di una lingua. Uno tra questi è l’approccio umanistico-affettivo che si è sviluppato intorno agli anni ottanta del secolo scorso e che si rifà alla psicologia umanistica di Carl Rogers. Le caratteristiche affettive e della personalità del discente, insieme ai suoi aspetti cognitivi, influiscono in maniera molto determinante sui processi di apprendimento. Sottoposto a situazioni che creano stress e ansia, il cervello innalza il filtro affettivo, ovvero una sorta di barriera che non permette l’acquisizione duratura ma soltanto l’apprendimento momentaneo. È necessario, pertanto, creare percorsi didattici che siano in grado di ridurre e di eliminare le resistenze psico-affettive dell’apprendente. Il gioco e ogni tipo di attività ludica sono la risposta per la realizzazione di tale scopo: giocare minimizza i livelli di ansia creando così le condizioni favorevoli perché lo studente apprenda.

Grazie proprio alla cosiddetta Rule of Forgetting (Krashen, 1983), l’allievo, mentre gioca, dimentica che sta studiando e impara. Partecipare ad un’attività ludica distrae dai contenuti strettamente linguistici del compito poiché l’attenzione si concentra sull’obiettivo immediato del gioco e sulla sua dinamica.

Il metodo comunicativo

Con il termine metodo comunicativo si fa riferimento ad un ampio approccio piuttosto che ad una metodologia di insegnamento specifica. Il metodo comunicativo mira a fornire una competenza comunicativa, piuttosto che una competenza linguistica.

Il metodo di insegnamento comunicativo è la conseguenza naturale delle reazioni, che risalgono agli anni ’70, nei confronti dei metodi precedenti, che erano focalizzati sull’insegnamento delle strutture grammaticali e di frasi modello e che attribuivano poca importanza all’utilizzo pratico della lingua. L’approccio comunicativo enfatizza la capacità di comunicare il messaggio in base al suo significato, invece che concentrarsi esclusivamente sulla perfezione grammaticale o sulla fonetica. Pertanto, la comprensione della seconda lingua viene valutata in base allo sviluppo da parte degli studenti delle proprie competenze e capacità comunicative.

L’utilizzo della lingua è importante quanto l’effettivo apprendimento della stessa. Il metodo comunicativo di insegnamento delle lingue si distingue dai metodi precedenti per diverse caratteristiche:

  • la comprensione avviene attraverso l’interazione attiva degli studenti nella lingua straniera;
  • l’insegnamento avviene attraverso l’uso di testi in lingua originale;
  • gli studenti imparano la seconda lingua ma allo stesso tempo apprendono anche le strategie per la comprensione;
  • viene attribuita una certa importanza alle situazioni e alle esperienze personali degli studenti, che sono quindi considerate un prezioso contributo al contenuto delle lezioni;
  • l’utilizzo della lingua straniera in contesti improvvisati crea opportunità di apprendimento al di fuori della classe.

 Si incoraggia l’individualità ma anche la collaborazione, in quanto entrambe aiutano ad acquisire una maggiore sicurezza di fronte ad una lingua straniera.

 

L’interazione strategica

Nel 1987 il linguista italo-americano Robert Di Pietro propose un approccio che egli chiamò interazione strategica. Secondo Di Pietro erano gli studenti stessi che dovevano creare e determinare le componenti comunicative e linguistiche da inserire in uno “scenario” suggerito dall’insegnante.

Questo avviene tramite quattro fasi:

  1. in una prima fase preparativa, l’insegnante crea uno scenario appropriato, preparando delle schede su cui vengono descritte le sue componenti sotto forma di un problema comunicativo-strategico da risolvere;
  2. gli studenti formano poi dei gruppi in base ad una scheda e al suo contenuto; durante questa seconda fase, l’insegnante fornisce modelli di lingua;
  3. gli studenti di ciascun gruppo dovranno recitare i loro ruoli davanti al resto della classe;
  4. nella fase finale verranno discussi i vocaboli, le strutture grammaticali, le strategie comunicative usate. Solo in quest’ultima fase subentra l’insegnante a discutere e ad insegnare la grammatica e il vocabolario usato dagli studenti.

L’interazione, infatti, non può essere considerata un semplice scambio di informazioni, in quanto rimanda alla realizzazione di specifici obiettivi tramite strategie comunicative diverse.

Da ciò deriva la scelta del nome interazione strategica: “interazione” poiché l’insegnamento avviene in particolari contesti, chiamati sceneggiature, le quali implicano l’interazione fra più persone; “strategica” in quanto tale interazione ha l’obiettivo di far risolvere una situazione difficile utilizzando in modo strategico la lingua straniera in questione.  Poiché la comunicazione è orientata al raggiungimento di un obiettivo e la lingua è lo strumento utilizzato per raggiungerlo, anche in classe è necessario, secondo Di Pietro, riproporre la complessità dello scambio comunicativo reale.

Il metodo della risposta fisica totale

Questo metodo è stato ideato all’inizio degli anni Sessanta dallo psicologo James Asher, il quale studiò lo sviluppo linguistico nei bambini e, basandosi sulle sue ricerche, si interessò anche all’apprendimento delle seconde lingue. Asher considera l’acquisizione della L2 un processo identico a quello della L1, perciò egli sostiene che la didattica raggiungerà efficacemente i suoi obiettivi solo se permetterà al discente di partecipare fisicamente all’atto apprenditivo; ci sarà dunque un coinvolgimento totale, psichico e fisico da parte dello studente durante l’apprendimento linguistico.

Asher, il creatore della risposta fisica totale o TPR, afferma che questo strumento di insegnamento della lingua crea esperienze autentiche o “credibili” per lo studente per l’apprendimento delle lingue. Propone inoltre di insegnare la L2 esponendo lo studente ad un input linguistico costituito da comandi, ai quali deve rispondere fisicamente e con comportamenti non verbali; quindi il professore presenta agli studenti il vocabolario e le strutture grammaticali in un contesto di comandi e di azioni.

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Questo metodo attribuisce grande importanza all’ascolto, imitando ciò che avviene nelle fasi iniziali dell’acquisizione della propria lingua madre, per poi passare al parlare, al leggere e allo scrivere. Gli studenti mostrano la loro comprensione tramite la risposta ad alcune istruzioni da parte dell’insegnante; queste attività hanno lo scopo di divertire gli studenti, ma allo stesso tempo devono permettere agli stessi di assumere un ruolo attivo nell’apprendimento della lingua.

L’obiettivo principale di questo metodo è quello di far vivere agli studenti una piacevole esperienza di apprendimento, riducendo al minimo lo stress associato all’apprendimento linguistico rendendolo il più gioioso possibile e minimizzando le esperienze inibitorie di un insegnamento troppo astratto e formalistico che, secondo Asher, finiscono per impedire l’autorealizzazione del discente.